IL CORPO COME SPECCHIO DELL’ANIMA. FISIOGNOMICA E FRENOLOGIA

Flavia Corso

PREMESSA

A nessun biologo verrebbe mai in mente di supporre che ogni individuo acquisisce da capo ogni volta il suo modo generale di comportarsi. È molto più probabile che il giovane uccello tessitore costruisca il suo caratteristico nido perché è un uccello tessitore e non un coniglio.

Carl Gustav Jung, Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche

Razza: raggruppamento di individui che presentano un insieme di caratteri fisici ereditari comuni.

Razza, Dizionario di Medicina

Attualmente, come è noto, il termine “razza” è un tabù. Sebbene esso sia di origine illuminista, il nucleo concettuale che racchiude è antico quanto l’uomo stesso.

La tendenza a discernere, ad avvicinarsi al simile ed allontanarsi dal dissimile è innata nell’essere umano ed è funzionale alla sopravvivenza della specie e dei particolari gruppi etnici. L’idea che gli esseri umani siano diversi per nascita è riscontrabile fin dagli albori della civiltà occidentale. Gli antichi filosofi greci, attraverso la dicotomia “Greci/barbari”, riconoscevano la naturale ineguaglianza degli uomini, che non si manifestava solamente attraverso l’aspetto esteriore, ma anche attraverso le virtù e le predisposizioni interiori. L’interesse filosofico nei confronti del rapporto tra anima e corpo, nonché l’importanza della categorizzazione quale funzione cognitiva fondamentale dei processi del pensiero, sono le fondamenta del concetto di “razza”.

Non si intende qui giustificare l’esistenza delle razze umane a livello biologico, su cui non entro nel merito. Lo scopo del presente scritto è invece quello di giustificarla a livello concettuale. L’essere umano, infatti, conosce e scopre il mondo attraverso il riconoscimento delle alterità. La consapevolezza della propria identità affonda le proprie radici nel manifestarsi dell’Altro, da ciò che è diverso da “noi”, ed è proprio attraverso lo sguardo dell’estraneo che è possibile indagare la propria natura e, pertanto, procedere nel cammino di un’autentica conoscenza.

Occorre innanzitutto precisare che il termine “razza” dovrebbe riferirsi ad un concetto molto più ampio del semplice colore della pelle.

La diversità umana, infatti, non si esprime solamente nei connotati fisici delle popolazioni, ma anche nelle loro predisposizioni mentali. Con questa affermazione non voglio in nessun modo rievocare la tesi della presunta superiorità intellettiva della razza bianca, che peraltro si basa sull’applicazione di test che usano criteri propri della cultura occidentale; intendo invece accostarmi ad una visione olistica dell’essere umano, per cui mente e corpo non risultano due entità separate come nel dualismo cartesiano, ma interagiscono tra loro e con l’ambiente circostante, dando luogo a quella che noi chiamiamo “cultura”.

Fin dai tempi di Aristotele, si sosteneva con certezza una correlazione tra aspetto fisico e spirito. Il corpo, essendo dimora dello spirito, assumeva determinate caratteristiche a seconda dell’anima che ospitava. Nell’opera Fisiognomica1, giunta sotto il nome dello stesso Aristotele, domina l’interesse per il tema del rapporto tra le caratteristiche psicologiche e gli attributi somatici degli uomini:

Le diverse disposizioni mentali sono in stretta corrispondenza con i caratteri fisici: non sono isolate né insensibili alle sollecitazioni del corpo, come si constata molto chiaramente quando ci si ubriaca o quando ci si ammala; l’alterazione che le affezioni del corpo producono nella mente si manifesta allora con molta evidenza. D’altra parte, anche il corpo soffre insieme con l’anima, come è evidente quando ci si innamora, quando si ha paura, si prova dolore o piacere. Se si osservano gli esseri che la natura crea, si può ancora meglio comprendere che corpo e anima sono così naturalmente connessi l’uno all’altra, da essere reciprocamente causa di quasi tutte le affezioni. Mai è accaduto che un essere nascesse con l’aspetto di una creatura e la mente di un’altra; piuttosto, è sempre dalla stessa che gli derivano sia il corpo che il carattere. È pertanto inevitabile che a un dato corpo si associ una data disposizione mentale. Inoltre, chi ha conoscenze specifiche sugli animali può comprenderne l’intima natura a partire dall’aspetto: così fanno i cavallerizzi coi cavalli, i cacciatori coi cani. In conclusione, se questo è vero (ed è in effetti sempre così), si può con fondamento “giudicare dall’aspetto”2.

Aristotele riteneva che le qualità essenziali degli esseri umani potessero essere dedotte, per analogia, dall’osservazione delle somiglianze con il mondo animale. Questo tema venne ripreso in epoca rinascimentale dal filosofo ed alchimista italiano Giovanni Battista Della Porta (1535-1615), che scrisse nel 1586 il Della fisionomia dell’uomo3. Abbandonati gli aspetti chiromantici della teoria aristotelica, egli intraprese degli studi all’interno delle carceri di Napoli “dove sempre è racchiusa gran moltitudine de’ facinorosi ladri, parricidi, assassini di strada, e d’altri uomini di simile fattezza”4. Egli osservò dunque i profili dei detenuti e li confrontò con quelli degli animali, facendone emergere delle connessioni occulte.

Anche Charles Le Brun (1619-1690), primo pittore alla corte del Re Sole, studiò meticolosamente il rapporto che intercorre fra le passioni e le espressioni del volto, focalizzandosi in particolare sul movimento del sopracciglio e creando un connubio perfetto tra indagine della psiche umana e pittura. Nella seconda metà del Settecento, il filosofo e teologo svizzero Johann Kaspar Lavater (1741-1801) scrisse i Frammenti di fisiognomica5; nella sua opera egli tentò di conciliare scienza e teologia, esoterismo cristiano ed Illuminismo, definendo la fisiognomica come la scienza naturale dell’anima e del corpo. Fra i tanti estimatori di Lavater, si ricorda in particolar modo Goethe, che arrivò a considerarlo un uomo di genio senza precedenti nella storia.

Nei primi dell’Ottocento, Franz Joseph Gall (1758-1828), medico tedesco di origini italiane, diede vita ad una nuova e rivoluzionaria dottrina: l’organologia, divulgata in seguito da Johann Gaspar Spurzheim (1776-1832) sotto il nome di frenologia.

Nonostante venga spesso confusa con la fisiognomica e ne sia stata influenzata, l’organologia parte da postulati ben diversi. Gall, in particolare, sosteneva che le facoltà morali ed intellettuali dell’uomo fossero innate e dipendessero dalla morfologia del cervello. A diverse aree cerebrali, pertanto, corrispondevano determinate predisposizioni mentali.

Si può notare come, nell’approccio di Gall, vi fosse il tentativo di mettere in relazione anatomia, fisiologia e neurologia, e di indagare scientificamente il rapporto tra anima, mente e cervello. La forma del cranio, infatti, doveva essere l’espressione del maggiore o minore sviluppo di particolari aree cerebrali, e il suo attento studio poteva dunque rivelare le caratteristiche mentali della persona.

Nella Lettera aperta sul programma organologico6, Gall delineava in questo modo l’oggetto della sua indagine:

Mi chiamano cranioscopista, e definiscono la scienza che sto fondando cranioscopia […] Non è quello il titolo che conviene al mio mestiere […] Oggetto delle mie ricerche è il cervello; il cranio lo è soltanto come impronta fedele della superficie cerebrale7.

La dottrina organologica ideata da Gall, quindi, si basava su una concezione unitaria del reale; la natura veniva concepita come un tutto integrato che si manifestava ogni volta attraverso strutture e funzioni differenti, ma in continuità tra loro.

L’uomo è uno, le sue manifestazioni sono coerenti e armoniche con la sua organizzazione in modo che si può giudicare le une attraverso l’altra, e viceversa8.

Riassumendo, le idee fondamentali alla base dell’organologia di Gall erano tre:

1. Il cervello costituiva la sede di tutte le facoltà dell’uomo;

2. A diverse funzioni cerebrali corrispondevano diversi organi o aree cerebrali;

3. Il cranio riproduceva fedelmente la forma del cervello, che poteva presentare bernoccoli o fossette a seconda che un’area cerebrale fosse più o meno sviluppata (la palpazione e la cranioscopia erano considerati metodi utili per comprendere la personalità del soggetto).

Ad oggi, possiamo affermare con certezza la veridicità delle prime due affermazioni, mentre il terzo e ultimo punto rientra nell’ambito di una protoscienza che ha comunque permesso agli studiosi dell’epoca di acquisire nuove conoscenze, introducendo per la prima volta nella storia lo sguardo medico all’interno dell’indagine di fenomeni complessi come, ad esempio, la criminalità. Non a caso tra i precursori di Cesare Lombroso, Gall assume senz’altro una posizione di grande rilievo.

Influenzato dagli studi di fisiognomica di Della Porta e Lavater, dalla frenologia di Gall e Spurzheim e dal recente sviluppo della psichiatria come branca indipendente della medicina, il fondatore assoluto della criminologia – Cesare Lombroso (1835-1909) – elaborò, nella sua famosa opera L’uomo delinquente9, la teoria del criminale per nascita. Per Lombroso, infatti, era possibile stabilire se una persona avesse tendenze criminali semplicemente studiandone i tratti del volto e la forma del cranio.

Il delitto, inoltre, veniva considerato come un risvolto antropologico che denotava una regressione atavica dell’individuo che lo commetteva, dove con atavismo si intendeva la ricomparsa di caratteristiche che si erano estinte in uno stadio precedente dell’evoluzione umana. Nella teoria lombrosiana, pertanto, lo studio delle peculiarità somatiche coesiste con una visione darwinista della storia dell’umanità, per cui a tratti fisici di tipo primitivo (anomalie quali le arcate sopraccigliari e i seni prefrontali sporgenti, la fronte sfuggente, piccola, stretta e appiattita, la fossetta occipitale mediana e le asimmetrie del volto) corrispondevano con maggiore incidenza comportamenti antisociali.

Nonostante Lombroso ritenesse che non vi fosse delitto che non avesse molteplici cause (non erano dunque esclusi fattori sociali ed economici che contribuissero all’attuazione del reato), egli attribuiva alle caratteristiche biologiche innate una posizione di rilievo, accostandosi di fatto al determinismo positivistico della sua epoca.

La teoria di Lombroso è sempre stata oggetto di feroci critiche sia per quanto riguarda il piano metodologico, che quello etico-politico. Sebbene tali critiche fossero in parte condivisibili, oggi molti studiosi stanno rivalutando la sua opera.

Dall’analisi della correlazione tra psiche e fenotipo (manifestazione della costituzione genetica di un organismo in relazione ad un determinato ambiente), si è giunti all’esame del rapporto che intercorre tra psiche e genotipo (insieme dei geni che compongono in DNA di un individuo o di una popolazione).

1 Aristotele, Fisiognomica, a cura di M. F. Ferrini, Milano 2007.

2 Ivi, cit., p. 161.

3 G. B. Della Porta, Della fisionomia dell’uomo, Guanda, Parma 1988.

4 G. B. Della Porta, Della Chirofisonomia, Editore appresso Antonio Bulifon, All’insegna della Sirena, 1677, cit., pp. 24-25.

5J. K. Lavater, Frammenti di fisiognomica, Theoria, Roma 1989.

6 F. J. Gall, Lettera aperta sul programma organologico, in «Neue Deutsche Merkur», 1798.

7 D. Verardi, L’organo dell’anima. Fisiognomica e fisiologia cerebrale in Franz Joseph Gall, in «Psychofenia. Ricerca ed Analisi Psicologica», vol. 13, n. 22, 2010, cit. p. 87.

8 P. Magli, Il volto e l’anima. Fisiognomica e passioni, Bompiani, Milano 1995, cit., p. 357.

9 C. Lombroso, L’uomo delinquente, Hoepli, Milano 1918.

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