LA NOTTE DEL GIUDIZIO PER SEMPRE…CONTRO L’UOMO BIANCO

Giovanni Becciu

Quando il cinema è mezzo di propaganda per l’odio verso l’uomo bianco.

Apprestandovi a leggere questa “recensione”, vi consiglio ovviamente di aspettarvi anticipazioni sulla trama del film. Che dire: quest’ultimo episodio – diretto da Everardo Gout – della saga cinematografica di “La notte del giudizio” (The Purge è il titolo originale in lingua inglese), ci si mostra palesemente come un vero e proprio manifesto politico diretto contro “l’uomo bianco”, volto a mettere in scena un’odiosa estremizzazione nei confronti dei “cattivi bianchi razzisti”.

Il volgere della trama ha luogo in Texas, Stato fra i più conservatori dell’Unione, che alle ultime elezioni presidenziali ha con forza confermato il proprio supporto al Presidente Donald Trump. Al corso della consueta notte di “sfogo” annuale, una grande massa di individui – rappresentati omogeneamente come bianchi bifolchi – sceglie di proseguire a tempo indeterminato lo “sfogo” stesso, seguitando a ripulire le strade da neri, messicani e meticci. A queste ultime categorie ed ai sostenitori delle stesse appartengono ovviamente tutti i personaggi positivi: una coppia di messicani – marito e moglie – rifugiatisi negli Stati Uniti dopo aver preso parte in Patria alla lotta contro i cartelli del narcotraffico, una famiglia borghese bianca messa in salvo dai succitati messicani, un uomo nero resosi responsabile del salvataggio della donna messicana, aggredita da uno stereotipato bianco con tanto di svastica tatuata in faccia, i cittadini messicani tutti considerati come un unicum, che per pura bontà d’animo si adoperano per soccorrere i bianchi americani, un capo indiano che – criticando ampiamente il muro costruito dal Presidente Trump – guida verso il confine un gruppo misto di messicani e bianchi, ravvedutisi circa la bontà e la bellezza della società multirazziale.

Se tutti costoro appaiono essere “i buoni”, è assai facile immaginarsi chi possano essere “i cattivi”: un gruppo di lavoratori bianchi scontenti che – vestitisi da cowboy – cercano di attuare la propria vendetta nei confronti della succitata famiglia borghese, numerosi esaltati – sempre bianchi – che sparano nel mucchio, il succitato nazistoide con la svastica sul volto, gli appartenenti al movimento dello “sfogo per sempre” – ovviamente tutti bianchi anch’essi – ritratti omogeneamente come biondi e “razzisti bifolchi” (definizione usata letteralmente nel film dal summenzionato borghese liberal).

Il finale del film è chiaramente prevedibile: i “cattivoni” bianchi vengono massacrati dalla composita compagine multirazziale, e tutti i vincitori riparano con successo in un accogliente Messico, dove trovano ad attenderli soccorso, cure ed accoglienza. Che dire, ancora? Nel contesto attuale della cultura statunitense, la produzione di una simile opera cinematografica può significare soltanto una cosa: è aperta la caccia a tutti quei bianchi determinati a non piegarsi ai dogmi della società multietnica e del globalismo, ed al pensiero dominante. Se persino il Messico – Nazione notoriamente preda di sanguinosissimi contrasti di ogni genere – giunge ad esser rappresentato come l’idealtipo di un “nuovo sogno americano”, beh, veramente resta ben poco da aggiungere.

Quanta pochezza, signori. Quanto odio verso l’uomo bianco.

LA FINE DI UN’ERA…PER I MASCHI BIANCHI

David Rothkopf

Cambiano i rapporti demografici, e con essi la definizione di privilegio.

Fonte: Foreign policy

Traduzione di: Attilio Sodi Russotto

Il seguente articolo non è stato tradotto con l’intento di appoggiare ciò che scrive l’autore, ma piuttosto come articolo critico mettendo in evidenza un grave fattore, di cui nessuno sembra voler parlare e interessarsi.

L’uomo bianco ha fatto molta strada. Dall’ascesa della Grecia classica alla nascita degli imperi globali sorti in Occidente, è riuscito ad accentrare nelle proprie mani gran parte del mondo, o quantomeno ci ha provato. Un ruolo storico così imponente segue necessariamente decisioni compiute dal capoccia bianco di turno, assecondando null’altro che la propria volontà. Diversi fattori hanno contribuito a rendere il momento presente uno spartiacque nella storia globale. Innanzitutto, la crescita del cosiddetto mondo emergente, con particolare attenzione alle economie e alle società asiatiche. Laddove il pianeta ha sempre ospitato grandi civiltà non bianche, tali sistemi sociali sono sopravvissuti vivacchiando in un flusso e riflusso di importanza relativa. Oggi, invece, la crescita di queste società – segnatamente Cina e India – è di chiarezza cristallina, ed altrettanto lo è quella di altre grandi e floride culture medio-orientali e africane, grazie a riforme politico-economiche, a progressi scientifici e tecnologici, ed all’avvento del mondo interconnesso.

In più, millenni di repressione dei diritti delle donne si apprestano a terminare. Non in modo sufficientemente rapido, senz’altro, e non ovunque, ma in gran parte del mondo occidentale aree un tempo dominate dal potere maschile sono popolate da un numero di donne mai visto prima, e fortunatamente questo trend non mostra segni di un imminente cambiamento di verso. Ad ogni latitudine, inoltre, sempre più donne si accingono a mettere altre donne – comprese giovani e giovanissime – ad assumere ruoli di avanguardia nel campo delle tecnologie digitali. Per metterla semplice: sembra essere adesso opinione comune che nessuna società possa prosperare se non riesce a valorizzare al meglio le risorse intellettuali, economiche, creative, spirituali dell’intera sua popolazione.

Infine, grazie alla rivoluzione degli spostamenti occorsa nel secolo passato, flussi di rifugiati e migranti di ogni genere hanno modificato i rapporti demografici delle società e, fatte salve contestazioni ed altre situazioni di disagio, si sono dimostrati essenziali nel combattere determinati trend, quali l’invecchiamento, che hanno messo a repentaglio la sopravvivenza stessa di diverse società avanzate.

Diseguaglianze, ingiustizie e, per dirla francamente, un vero e proprio affaticamento delle energie sociali hanno condotto le popolazioni verso scelte differenti. Ancora, le medesime società che hanno procurato all’uomo bianco la sua massima influenza nel mondo – Europa e Stati Uniti – si trovano a condurre lotte cruciali al fine di mantenere intatta la stessa propria rilevanza globale. Le problematiche economiche picchiano duro su di esse, e le divisioni politiche costituiscono un innegabile ostacolo alla loro crescita e capacità di agire. Come la Storia ha insegnato, è assai complesso mantenere la vetta a tempo indeterminato.

Il risultato dei menzionati processi altro non può essere che un profondo cambiamento dello status quo stabilizzatosi nei passati millenni. Soltanto in Europa, l’afflusso di migranti e rifugiati sta già dando luogo a cambiamenti demografici irreversibili, producendo un esteso mescolarsi di culture diverse.

Per la metà di questo secolo, negli Stati Uniti, si prevede un cambiamento di maggioranza nel complesso della popolazione, maggioranza che, a detta dei demografi, diverrà non-bianca. Per allora, l’Europa avrà già accolto numeri massivi di immigrati dall’Africa e dal Medio-Oriente, così come dall’Asia, ed entro il 2050, si stima, toccherà ai maschi bianchi esser relegati nella categoria “altro” sui formulari dei censimenti.

Nei fatti, sarà l’idea stessa di “altro” a subire le maggiori variazioni di significato. Attualmente scottante argomento di dibattito, la diversità negativa è stata utilizzata come un utile stratagemma per spargere allarmismi sul conto di migranti, immigrati e rifugiati – un approccio, questo, naturalmente radicato nell’ignoranza e nell’intolleranza. (Gli attacchi al primo presidente nero degli Stati Uniti d’America hanno del resto avuto origini similari, e si sono mostrati egualmente riprovevoli.) Sia che la supposta minaccia sia associata all’Islam o all’estremismo, sia che faccia leva sulle competizioni economiche interne ad un dato Paese, la verità è che le paure che sono andate diffondendosi hanno soverchiato di molto la realtà dei fatti.

Uno psicoterapeuta che conoscevo, una volta ha detto che se una reazione è sproporzionata rispetto alla presunta causa che la provocherebbe, allora un pezzo dell’intera storia alla sua base è stato omesso. In questo caso, i politici che in Europa ed in America che senza tregua sputano bile nazionalista e rinfocolano le fiamme del furore xenofobo si appoggiano sul crescente, seppur inconscio, riconoscimento culturale del fatto che le lancette corrano per quella che un tempo è stata la classe etnica più privilegiata al mondo.

Ovviamente, la mobilità umana non deve essere combattuta, bensì accolta. Mentre l’appartenenza ad una determinata comunità si situa nel nostro DNA per ragioni legate alle unità sociali di sopravvivenza dei nostri più antichi antenati, la lunga storia della civilizzazione e del progresso si basa proprio sul mescolarsi e rimescolarsi delle suddette unità sociali.
Ci si presentano, dunque, due fondamentali lezioni da apprendere. La prima è che, stante il fatto che la civiltà ci appare oggi assai più sicura, felice, ricca, consapevole ed in salute di quanto sia mai stata, sembra che l’apporto della condivisione di idee, culture e valori sia stato completamente positivo. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è la loro stessa storia a parlare: a partire dal XVIII secolo, nuovi gruppi hanno fatto il loro ingresso nel Paese, e sono stati fatti oggetto di resistenze e risentimenti – irlandesi, italiani, est-europei, ebrei, quello che si vuole. Nonostante ciò, con il tempo ogni gruppo ha saputo apportare grandi contributi agli Stati Uniti, un Paese divenuto sempre più forte ad ogni ondata di nuovo sangue e nuove idee.

La seconda lezione è che un’alternativa ad “altro” esiste, ed è “tutto”. Piuttosto che focalizzarci sulle nostre differenze come i nostri leader politici più meschini e pericolosi hanno fatto, i nuovi leader di questa nuova era sapranno distinguersi concentrandosi non soltanto sulla diversità sociale che rende grandi le Nazioni, ma ma sugli autentici e stupefacenti benefici della diversità che già vive all’interno di tutti noi.

Laddove nazionalisti, suprematisti bianchi, ed idioti assortiti che a orde li seguono hanno sparso semi di divisione sulla scia dei rinnovati flussi umani attraverso i confini, la tragica ironia consiste nel fatto che costoro, in pratica, hanno finito per abbracciare precisamente il medesimo tipo di intolleranza che costituisce il marchio di fabbrica dei loro nemici giurati.

Ciò di cui abbiamo bisogno sono invece uomini e donne disposti ad alzarsi ed a proclamare: “No, vi sbagliate. La diversità non è una minaccia, è la risposta.”

È stata infatti la diversità a rendere grande l’America ed ogni altra società multiculturale. Già, proprio così: neppure per un misero minuto dovremmo piangere la fine dell’era del maschio bianco, in quanto sussiste una speranza, un barlume di speranza almeno, che oltre le sue ceneri si approssimi finalmente la tanto attesa era del “tutto.”

GLI ULTIMI GIORNI DEL MONDO BIANCO

Al cospetto di uno spartiacque globale: la fine della maggioranza bianca nel mondo sviluppato. Gran Bretagna inclusa.

Anthony Browne

Fonte: The Guardian

Traduzione di: Attilio Sodi Russotto

Una notizia, sì, ma fino ad un certo punto; il traguardo più significativo nell’ambito di uno dei cambiamenti più profondi concernenti il volto degli Stati Uniti nel secolo passato, ma tutto sommato un non-evento, latore di sorpresa e sconcerto. La scorsa settimana, l’Ufficio del Censimento degli Stati Uniti d’America ha pubblicato una serie di cifre relative alla popolazione bianca non ispanica in California, che è risultata ammontare al 49,8% della popolazione dell’intero Stato.

I bianchi anglo-sassoni costituiscono già la minoranza numerica nello Stato delle Hawaii e nel Distretto di Columbia. Adesso, anche nello Stato più densamente popolato del Paese, Stato un tempo identificato con l’American Dream, la maggioranza etnica bianca rappresenta ormai un ricordo.

Mi auguro vivamente che la diversità del nostro Stato sia per tutti motivo di esultanza, e non di rammarico”, afferma Greg Bustamante, vice-governatore della California di etnia latino-americana. Robert Newby, un negoziante bianco residente a Los Angeles da 40 anni, fa proprio un tale ottimismo: “Ciò conferma ciò che la maggior parte di noi ha pensato per anni. Sono felice che ci siano più immigrati, che nell’insieme lavorano più duramente, ed hanno più denaro da spendere.”

Fino al 1970, otto californiani su dieci erano bianchi. Sull’onda di un’immigrazione che ha toccato i suoi tassi più alti dall’inizio del secolo scorso, e da più elevati tassi di fertilità, la popolazione di asiatici e latino-americani in California è cresciuta di quasi un terzo dal 1990. Allo stesso tempo, a causa di una limitata immigrazione e di poche nascite, la popolazione di bianchi non ispanici è calata di tre punti percentuali. Entro il 2040, è lecito aspettarsi che gli ispanici divengano la maggioranza assoluta nello Stato.

Il resto degli Stati Uniti, nel dispiegarsi di tali dinamiche, ci si aspetta che segua le orme della California. Mentre scriviamo, il 72 % della popolazione statunitense è composta da bianchi non ispanici; l’Ufficio per il Censimento prevede che essi diventeranno la minoranza fra il 2055 ed il 2060.

Non tutti apprezzano il nuovo volto dell’America. Estremisti bianchi di estrema destra non temono di preannunciare addirittura lo sgretolarsi dell’Unione. Thomas W. Chittum, un veterano del Vietnam residente in New Jersey, nel suo libro Civil War Two scrive che gli Stati Uniti si scomporranno in vari etno-stati, similmente a quanto già accaduto in Jugoslavia. “L’America è nata nel sangue, ha succhiato sangue, di sangue si è ingozzata divenendo un gigante, ed annegata nel sangue vedrà la sua fine”, questo il drammatico avvertimento di Chittum.

I militanti separatisti hanno già iniziato a costituire gruppi organizzati, quale quello denominato Americans for Self-Determination. Uno dei fondatori, Jeff Anderson, ha dichiarato: “Il nostro suggerimento è una ripartizione degli Stati Uniti in entità statali apposite per bianchi, neri, ispanici, e così via, oltre ad altri staterelli multi-razziali destinati a coloro che desiderassero proseguire con la convivenza fra razze diverse. E’ giunta l’ora di iniziare seriamente a parlare di separatismo su base razziale, prima che scoppi una vera e propria tempesta di conflitti fra razze.”

Le sabbie mobili della realtà americana riflettono cambiamenti più ampi – ed assai controversi – già verificatisi altrove nel mondo. E’, questa, un’area di speculazione in cui pochi demografi si azzardano ad addentrarsi, nel timore di essere accusati di razzismo. “Non posso autorizzarti a citarmi: una parola fuori posto, e verrei smerdato alla grandissima”, ci ha confidato un accademico. “Qualunque cosa tu dica, verrai sempre tacciato di razzismo.”

Lo scorso millennio è stato davvero, più di ogni altra cosa, l’era dei bianchi. Solo 500 anni fa, in pochi avevano osato avventurarsi fuori dalla comune patria Europea. Quindi, con l’ausilio di numerosi genocidi a spianare la strada, uomini Europei si installarono in Nord America, Sud America, Australia, Nuova Zelanda, e – seppur in minor parte – in Sudafrica.

Adesso, però, ovunque i bianchi si trovino nel mondo, la fetta di popolazione a loro relativa si sta sempre più assottigliando rispetto al totale. Le Nazioni Unite radunano e pubblicano un vasto novero di statistiche sulle popolazioni, ma nessuna di essere riflette il punto di vista dell’origine etnica o razziale. Certamente su questo influisce il fatto che solo pochi Paesi raccolgano dati relativi all’etnia – in Europa, segnatamente, soltanto la Gran Bretagna ed i Paesi Bassi.

Ad ogni modo, lo Stato della Popolazione Mondiale prodotto dalle Nazioni Unite per l’anno 1999 predisse che entro il 2025 il 98% della crescita della popolazione mondiale sarebbe occorso in regioni meno sviluppate, particolarmente in Asia ed Africa. Le cause preponderanti dietro a questo fenomeno si individuano precipuamente nell’abbassarsi dei tassi di natalità delle Nazioni ricche: in 61 Paesi, perlopiù quelli a ricchezza maggiore, le nuove nascite non riescono più a rimpiazzare i decessi.

Nel suo Profilo della Popolazione Mondiale per l’anno 1998, l’Ufficio per il Censimento degli Stati Uniti d’America aveva previsto che per il secondo decennio di questo secolo l’intero aumento demografico a livello mondiale si verificherà in Paesi in via di sviluppo. “Il futuro della crescità della popolazione umana va determinandosi nelle Nazioni più povere del mondo”, vi si legge.

Il centro di gravità globale va sempre più modificandosi. Nel 1900, l’Europa deteneva un quarto della popolazione mondiale, tre volte quella dell’Africa; entro il 2050, solamente il 7% della popolazione mondiale sarà Europeo, circa un terzo di quella africana. L’invecchiamento ed il declino delle popolazioni delle Nazioni prevalentemente bianche hanno stimolato previsioni di un’immigrazione richiesta dalle latitudini più giovani ed in crescita, corrispondenti ai Paesi in via di sviluppo, al fine di colmare le lacune demografiche.

Lo scorso anno, l’immigrazione netta in Gran Bretagna ha raggiunto le 185.000 unità, un record assoluto. Il Ministro per l’Immigrazione, Barbara Roche, ha recentemente annunciato piani specifici finalizzati ad attrarre migranti per riempire determinati vuoti di competenze, come, ad esempio, nell’industria informatica.

Il mese scorso, Edmund Stoiber, primo ministro della Baviera in Germania del Sud, ha esortato i tedeschi ad avere più bambini, come alternativa privilegiata ad un’aumentata immigrazione. “Stiamo avendo troppo pochi bambini – preoccupantemente troppo pochi, ed appare sin troppo difficile rendersene conto”, ha dichiarato. I suoi appelli hanno fatto eco a quelli di un altro politico cristiano-democratico che sempre quest’anno si è reso protagonista dell’iniziativa dall’inequivocabile nome “Bambini, non Indiani”.

In Gran Bretagna, il numero di cittadini riconducibili a minoranze etniche è cresciuto dalle poche decine di migliaia degli anni Cinquanta, agli attuali 3 milioni, corrispondenti a quasi il 6 per cento della popolazione totale. Mentre il numero dei bianchi virtualmente si mantiene statico, un superiore tasso di fertilità e di immigrazione netta ci consegnano un aumento quantitativo delle minoranze etniche stimabile intorno ai 2-3 punti percentuali annui.

Un demografo, che ha richiesto di non essere identificato nel timore di venire tacciato di razzismo, ha affermato: “E’ un fatto aritmentico che – in mancanza di determinati accadimenti – nel Regno Unito i non-Europei diverranno la maggioranza, ed i bianchi la minoranza. Ciò costituirebbe probabilmente la prima volta che una popolazione indigena ha volontariamente scelto di ridursi in minoranza nella propria patria storica.

Lee Jasper, consulente per gli affari razziali del sindaco di Londra, Ken Livingstone, ha predetto qualcosa di molto simile, spiegando al The Observer:L’Europa segue sempre ciò che accade in America, con un ritardo di 30 anni. Una minoranza bianca in alcuni Paesi Europei è uno scenario verosimile.

In Gran Bretagna, ciò è quasi sicuro che accada, ed anche in un futuro relativamente prossimo. “Al momento, le minoranze etniche compongono circa il 40 per cento della popolazione londinese. Gli andamenti demografici mostrano che la popolazione bianca diverrà una minoranza a Londra entro il 2010”, ha proseguito Jasper. “Possiamo confidare in una maggioranza di colore in Gran Bretagna per lo scavallare del nuovo secolo.

Nick Griffin, segretario del British National Party, ha dichiarato: “Non penso sussista alcun dubbio relativamente al fatto che entro questo secolo i bianchi saranno la minoranza in ogni Nazione del mondo.” Per Griffin, comunque, ciò è del tutto allarmante: “Ogni popolo sotto questo cielo ha diritto ad una propria terra sotto questo cielo, ed il diritto alla propria sopravvivenza. Se ad esser predetta fosse stata una minoranza indiana in India entro il 2100, tutti avrebbero chiamato genocidio una simile prospettiva.

Yasmin Alibhai-Brown, del Foreign Policy Centre, giunto a Londra dall’Uganda nel 1972, ha liquidato come razzisti tali timori: “Solamente i bianchi si preoccupano di questo. E’ perché per così tanto tempo il mondo è stato loro. Parlare di ciò, alimenta un particolare tipo di razzismo che vorrebbe i neri procreare come conigli. L’assunto alla base di tutto ciò è il seguente: bianco è buono.

Aggiunge ancora Alibhai-Brown: “Un vero e proprio panico bianco deflagra ogni volta che una parte del loro mondo sembra star per passare di mano. Ma è stupido aver paura di ciò. Ed anche se noialtri neri divenissimo la maggioranza? Quale sarebbe il problema?

Per Alibhai-Brown, il declino dei bianchi è una sorta di ribilanciamento in seguito al loro colonizzare gran parte del mondo. “L’impero colpisce ancora, altroché. Vigeva questa idea assurda che i bianchi potessero andare e distruggere interi popoli senza conseguenze. Mi meraviglio che ci si stupisca di quel che sta accadendo.

I presenti andamenti socio-demografici, però, ben difficilmente riequilibriranno le ingiustizie della Storia. I Nativi americani possedevano tutta la terra, e adesso ammontano a meno dell 1 % della popolazione statunitense, con ben poche chance di tornare maggioritari. La crescita maggiore si registra fra i latino-americani (perlopiù con ascendenze spagnole), e tra gli asiatici, particolarmente cinesi e filippini.

Jasper sostiene che le preoccupazioni del BNP si fondino su idee vetuste: “Il composto razziale nelle varie Nazioni cambia continuamente. In nessun modo una specifica etnia di sangue può essere legata ad un dato territorio in un mondo globale. Non puoi più guardare ad uno Stato e dire, ad esempio, che la Germania è anglosassone, e così via.

Jasper continua affermando che un simile processo di mescolanza non possa che rafforzare la Gran Bretagna. “La diversità rafforza una Nazione. La rende più brillante. Abbiamo centinaia di lingue parlate, e quando usciamo a cena, non mangiamo mai inglese, quanto piuttosto thailandese, francese o indiano. Ciò rende Londra un posto molto interessante e alla moda in cui vivere e lavorare.

Non sembra neppure verosimile che i bianchi finiscano per essere marginalizzati in termini di influenza, nonostante il loro declino quantitativo. David Owen, del Centro di Ricerca sulle Relazioni Etniche della Warwick University, spiega: “La popolazione non è mai stata il principale fattore di influenza. Casomai, in proposito, appare più adeguato enumerare la ricchezza ed il guadagno. I bianchi mantengono ancora nelle proprie mani le leve del potere militare ed economico.

Nonostante ciò, Griffin avverte che – in Germania come negli Stati Uniti – la crescita delle minoranze etniche non sarà esente da ripercussioni. “Ciò porrà la questione razziale al vertice dell’agenda politica”, ammonisce il leader del BNP.

CIò, ad ogni modo, è da ritenersi inverosimile. La Gran Bretagna conta un numero assai inferiore di episodi di razzismo e di estremismo di destra rispetto a qualunque altro Paese d’Europa. Alibhai-Brown insiste addirittura che l’aumento quantitativo delle minoranze etniche potrà aiutare a ridurre i focolai di razzismo là dove hanno luogo: “I partiti di destra crescono a Somerset, non a Brixton. L’idea che un maggior numero di neri corrisponda ad una maggiore frequenza di episodi di razzismo è scientificamente irricevibile. Più noi saremo, meno razzismo ci sarà.

Tornando in California, terra edificata dagli immigrati, Bustamante ha attribuito un riflesso positivo alla fine della maggioranza bianca: “Se non vi sono maggioranze, non vi sono neppure minoranze.” In Europa, con la sua popolazione bianca indigena vecchia di 40.000 anni, lo sviluppo di una maggioranza non bianca potrebbe non essere accolto con altrettanta equanimità.

Nel Regno Unito, il numero di persone riconducibili a minoranze etniche è cresciuto dalle poche decine di migliaia nel 1950 agli attuali oltre tre milioni.

In Italia, il tasso di natalità è così basso che, senza adeguati flussi migratori, la popolazione è destinata a diminuire di 16 milioni entro il 2050.

Il governo degli Stati Uniti prevede che i bianchi non ispanici diventeranno una minoranza nel Paese entro il 2055.

Le Nazioni Unite prevedono che il 98% della crescita della popolazione mondiale fino al 2025 avrà luogo nei Paesi in via di sviluppo.

La popolazione Europea prevedibilmente calerà di svariati punti percentuali, passando dal 25% del totale mondiale nel 1900 al 7% nel giro dei prossimi 50 anni.

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