LA NOTTE DEL GIUDIZIO PER SEMPRE…CONTRO L’UOMO BIANCO

Giovanni Becciu

Quando il cinema è mezzo di propaganda per l’odio verso l’uomo bianco.

Apprestandovi a leggere questa “recensione”, vi consiglio ovviamente di aspettarvi anticipazioni sulla trama del film. Che dire: quest’ultimo episodio – diretto da Everardo Gout – della saga cinematografica di “La notte del giudizio” (The Purge è il titolo originale in lingua inglese), ci si mostra palesemente come un vero e proprio manifesto politico diretto contro “l’uomo bianco”, volto a mettere in scena un’odiosa estremizzazione nei confronti dei “cattivi bianchi razzisti”.

Il volgere della trama ha luogo in Texas, Stato fra i più conservatori dell’Unione, che alle ultime elezioni presidenziali ha con forza confermato il proprio supporto al Presidente Donald Trump. Al corso della consueta notte di “sfogo” annuale, una grande massa di individui – rappresentati omogeneamente come bianchi bifolchi – sceglie di proseguire a tempo indeterminato lo “sfogo” stesso, seguitando a ripulire le strade da neri, messicani e meticci. A queste ultime categorie ed ai sostenitori delle stesse appartengono ovviamente tutti i personaggi positivi: una coppia di messicani – marito e moglie – rifugiatisi negli Stati Uniti dopo aver preso parte in Patria alla lotta contro i cartelli del narcotraffico, una famiglia borghese bianca messa in salvo dai succitati messicani, un uomo nero resosi responsabile del salvataggio della donna messicana, aggredita da uno stereotipato bianco con tanto di svastica tatuata in faccia, i cittadini messicani tutti considerati come un unicum, che per pura bontà d’animo si adoperano per soccorrere i bianchi americani, un capo indiano che – criticando ampiamente il muro costruito dal Presidente Trump – guida verso il confine un gruppo misto di messicani e bianchi, ravvedutisi circa la bontà e la bellezza della società multirazziale.

Se tutti costoro appaiono essere “i buoni”, è assai facile immaginarsi chi possano essere “i cattivi”: un gruppo di lavoratori bianchi scontenti che – vestitisi da cowboy – cercano di attuare la propria vendetta nei confronti della succitata famiglia borghese, numerosi esaltati – sempre bianchi – che sparano nel mucchio, il succitato nazistoide con la svastica sul volto, gli appartenenti al movimento dello “sfogo per sempre” – ovviamente tutti bianchi anch’essi – ritratti omogeneamente come biondi e “razzisti bifolchi” (definizione usata letteralmente nel film dal summenzionato borghese liberal).

Il finale del film è chiaramente prevedibile: i “cattivoni” bianchi vengono massacrati dalla composita compagine multirazziale, e tutti i vincitori riparano con successo in un accogliente Messico, dove trovano ad attenderli soccorso, cure ed accoglienza. Che dire, ancora? Nel contesto attuale della cultura statunitense, la produzione di una simile opera cinematografica può significare soltanto una cosa: è aperta la caccia a tutti quei bianchi determinati a non piegarsi ai dogmi della società multietnica e del globalismo, ed al pensiero dominante. Se persino il Messico – Nazione notoriamente preda di sanguinosissimi contrasti di ogni genere – giunge ad esser rappresentato come l’idealtipo di un “nuovo sogno americano”, beh, veramente resta ben poco da aggiungere.

Quanta pochezza, signori. Quanto odio verso l’uomo bianco.

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